E’ difficile per me descrivere l’autoritratto fotografico applicato alla consulenza psicologica. E’ difficile perché, per quanti tentativi abbia pensato, nessun insieme di parole, definizioni, descrizioni riesce a rendere la potenza e la profondità di questo approccio. La prima volta che sperimentai questa tecnica durante un corso di formazione ero estremamente titubante, onestamente dovrei dire scettica. Non vennero fuori delle belle foto, e non parlo di estetica ma di come fosse chiaro che avevo svolto il lavoro in modo superficiale e difensivo. E questo mi servì molto in seguito. Non pensavo di essere così.
Mi rimase il cruccio di aver perso un’occasione per esplorare parti di me emotivamente importanti. Lo compresi riguardando le foto subito dopo insieme alla psicologa che mi stava insegnando questa tecnica. Vedere le foto scattate subito dopo insieme ad un’altra persona secondo me è un punto importante dell’autoritratto fotografico e spesso è una sorpresa sorprendentemente inaspettata, passatemi il gioco di parole. Infatti quello che ritrovi nelle foto appena scattate molte volte non è quello che immagini di te, e si scoprono aspetti interessanti che neanche davanti allo specchio è possibile cogliere.
L’autoritratto è la frazione di uno scatto che coglie contemporaneamente il proprio vissuto, l’atto del cercare un’emozione interiore e la mano che preme sul telecomando proprio in quel momento. Non un secondo prima, non un attimo dopo l’esatto momento in cui si preme il telecomando. E quello scatto l’hai fatto tu! Non c’era qualcun altro dietro la macchina fotografica. E non c’era nessuno nella stanza che potesse influenzare.
Con l’autoritratto non si tratta di fare foto di sé stessi assumendo pose secondo un’immagine ideale che possiamo avere di noi, né di fare un selfie. Ma è un lavoro che viene costruito insieme procedendo con l’esplorazione di proprie emozioni e di come queste vengono rappresentate attraverso il nostro volto: traumi, dolori, gioie, ansie, traguardi raggiunti o rimasti sospesi, amori persi e ritrovati, eventi della vita che lasciano segni e a volte cicatrici nel nostro mondo interiore. L’autoritratto coglie, nell’attimo di uno scatto, un’immagine che racconta ciò che proviamo mentre ci colleghiamo con la testa e con il cuore a quel vissuto. E’ un lavoro potente, coraggioso dove siamo noi a scattare foto di noi.
Come si svolge il lavoro?
La sessione di scatti è preceduta da un colloquio con me dove spiego l’aspetto meramente tecnico del funzionamento del set e del telecomando. Una volta espletata brevemente questa parte, si procede con il condividere insieme la scelta dello scopo di questi scatti. Si stabilisce una consegna dettata dal percorso che si sta facendo durante la consulenza psicologica, se se ne sta facendo uno, oppure se è una sessione isolata si fa un colloquio preliminare sulle richieste. Il grado di profondità con cui esplorare il proprio mondo interiore è invece stabilita dal cliente quando si trova da solo sul set con davanti la macchina fotografica. Decide lui quanto mettersi in gioco. Poi si rivedono insieme le foto proseguendo il lavoro esplorativo personale. Questa è una parte importante perché salvaguarda la persona dalla possibilità di rimanere incagliato in luoghi interiori sconosciuti, che sono emersi, senza riuscire ad oltrepassarli.
Quali sono gli obietti di una sessione di autoritratti con la presenza dello Psicologo?
1) Creare un’esperienza immediata e concreta inaspettata e sorprendente che alimenti la curiosità esplorativa di parti nuove di sé.
2) Scoprire attraverso l’autoritratto che tipo di corrispondenza intrapsichica c’è tra ciò che la persona sente di sé e ciò che vede di sé nella foto. E da un punto di vista interpersonale ciò che gli altri vedono in lei nella stessa foto.
3) Scoprire quanti volti di sé possono essere prodotti con l’autoritratto, e intavolare con questi un dialogo di ricostruzione di significati, integrando le diverse parti in una nuova ricerca identitaria.
4) Cogliere nell’autoritratto tutti quegli aspetti delle proprie espressioni che neanche davanti allo specchio vediamo perché siamo predisposti a vedere solo alcune cose di noi e a ignorare quelle che non vogliamo vedere. Nella foto invece rimangono impressi tutti i dettagli.
5) Confronto tra le emozioni vissute qui e ora guardando le immagini dell’autoritratto e le emozioni che invece la persona vive dentro di sé quotidianamente. Cosa esce fuori di nuovo?
6) Dare alla persona la responsabilità di scegliere con che profondità emotiva vivere l’esperienza dell’autoritratto. Questo permette di essere parte attiva del processo e di averne poi l’evidenza con le foto. E da qui essere stimolata ulteriormente a diventare autonoma nell’aiutarsi.
7) Favorire lo scambio con gli altri e ascoltarsi mentre si formulano e si sostengono propri pensieri su di sé e ci si descrive agli altri attraverso l’autoritratto. Quindi di conseguenza imparare a confrontarsi con ciò che gli altri vedono di noi nell’autoritratto, che non sempre coincide.
Le foto sono delle serie di autoritratti eseguiti da ragazzi che hanno partecipato ad un mio laboratorio durante un corso Erasmus. Le foto sono protette da copyright e non possono essere diffuse in nessun modo e con nessun mezzo.